Salmodia della Speranza

Parole ed immagini per la libertà

di padre David Maria Turoldo

   

 

Questo testo è ai vertici della produzione teatrale turoldiana. Senso  religioso e mito della Resistenza sono qui fusi in maniera mirabile, al punto che i brani presi dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza non sembrano citazioni. Ed è anche il componimento più “europeo” tra quelli scritti da Turoldo.

La storia ripercorre le vicende del nostro continente, dagli anni ’20 sino al termine del secondo confl itto mondiale. Come sottolinea Giovanni Bianchi: “Per il paradosso che solola poesia può far vivere e mettere in scena, questo testo, il più laico e patriottico, è anche quello che più evidentemente conserva ed ostenta le scansioni liturgiche della Santa Messa.”
La chiave del testo è qui messa in bocca ad un giovane: “Vi è nella nostra vita un momento nel quale chi è vissuto per un ideale deve decidere di abbandonare le parole”.
A sua volta, Luigi Santucci, nel programma di sala della prima rappresentazione, scriveva: “Padre David getta quasi in un crogiuolo le sue memorie e i suoi “documenti” di europeo 1939-1945, che sono i nostri: quelli del tempo in cui tutta l’Europa piange e non è consolata”.
Ed è affascinante la cadenza salmica, che è quella che meglio si attaglia al contenuto “civile” dell’opera. 
Ecco il motivo per cui questo testo si “doveva” mettere in scena, che valori come quelli che la “Salmodia” trasmette non possono essere ignorati: ll dovere della memoria; la costante vigilanza affinché i valori civili e democratici di pace, libertà, fratellanza non siano sopraffatti dalla violenza; il coraggio della testimonianza in prima persona anche a costo di sacrificare la vita; la speranza in un mondo libero e giusto.

LA RAPPRESENTAZIONE

La prima rappresentazione della Salmodia della Speranza si tenne al teatro Elena di Sesto San Giovanni il 22 Aprile 1965, con la regia di Giulio Mandelli.
Contributo appassionato, sofferto, profondamente partecipato alla memoria della Resistenza, nel ventennale della Liberazione, il testo venne pubblicato dal settimanale Luce Sestese negli stessi giorni.
Luigi Santucci l’ha definito un antico “mistero teatrale”, ma è nello stesso tempo un evento multimediale, con l’alternarsi di parti recitate, musiche, filmati e foto. Questi due estremi, il “mistero” medievale e la multimedialità definiscono bene un testo antico, classico per passione e forza espressiva e nello stesso tempo eccezionalmente attuale quanto a impostazione e struttura drammaturgia.

Come scrisse mons. Gianfranco Ravasi nell’introduzione all’edizione I.P.L. del testo:
“Anche questa Salmodia partecipa delle qualità sacrali e quasi rituali delle opere teatrali turoldiane: non per nulla egli ebbe molto caro e considerò come punto di riferimento capitale “Assassinio nella cattedrale” di Eliot con la sua ieratica solennità, simile a una liturgia medievale. Ed è proprio in questo aspetto che ritroviamo – oltre al segno dellasperanza, al genere salmico, alla qualità teatrale – un quarto elemento tipicamente turoldiano, cioè l’amore per la liturgia.

Il nostro testo, infatti, si dipana lungo una celebrazione eucaristica e le sue scansioni seguono i vari atti liturgici: l’Introito, l’Offertorio, la Consacrazione, la Comunione, l’Ite Missa Est. 

Sulla scia dello spirito profetico non siamo, però, in presenza di una ritualità sacrale, isolata nelle nubi d’incenso, aureolata di ori, di luci e di armonie celestiali. Vita e rito qui si intrecciano, l’urlo delle vittime si fonde col gregoriano, le sparatorie delle piazze rimbombano anche nel tempio, il fumo dei forni crematori nazisti si mescola con le volute d’incenso dei turiboli.
Perché – e questa è una quinta nota nettamente turoldiana – la liturgia che si sta celebrando è quella della libertà. Subito, infatti, ci viene incontro la Bestia del potere oppressivo,raffigurata dalle parole dell’Apocalisse. La sua è una voce suadente, illusoria, la sua è una rete che cattura le menti, il volto del dittatore è sempre aperto a un sorriso stampato, la richiesta, che sembra quasi uscire da un televisore insediato
 in ogni angolo domestico, è apparentemente dolce ma in realtà orribile, evocatrice delle parole del Grande Inquisitore di Dostoevskij: “Dacci la tua anima una volta per sempre. / La tua anima è un peso troppo grande / alle tue forze / un lusso pericoloso.” 

E la folla crede e cede. Subito si stende il sudario dell’oppressione che è morte.
Il potere, allora, getta la sua maschera e rivela sotto il sorriso il ghigno, sotto la voce suadente gli ordini degli aguzzini, sotto le promesse di pace la distruzione e l’olocausto.
Entrano in scena i lager nazisti dei quali si leva il nuovo canto degli esuli, modellato sul celebre salmo 137, il Super Flumina Babylonis, ritmato dai  “talloni d’acciaio a milioni sui selciati deserti”.
Il “Memento” dei defunti che il celebrante pronunzia dopo la Consacrazione diventa l’elenco delle vittime: in una sequenza di forte emozione esse si levano dalle loro tombe o fosse comuni e, da ogni terra, razza, lingua, nazione e religione, intonano i versetti di una salmodia che non è solo di lamentazione ma di speranza. Turoldo, infatti, non vuole che questa liturgia della libertà sia solo commemorativa ma si apra al futuro, alla rinascita, alla terra promessa.
Il padre che aveva perso i suoi sette figli ritorna ai campi deserti: “Una croce di ossa a sorreggere sette cuori… / Ghirlande di spine gli era la vecchia madre e le nuore / e i bimbi che fiorivano come novelle gocce di sangue / già per il suo corpo esangue. / Riaggiustò la casa, ricongiunse le strade interrotte / e innalzò nuovi alberi sulle grandi fosse, / e riprese l’aratro e ritornò ai campi / “A raccolto distrutto, uno nuovo se ne prepari!” / disse!”
E come l’Apocalisse aveva introdotto la lugubre immagine della Bestia, ora essa fa balenare in finale la città santa, La Gerusalemme della libertà nella quale “non sarà più morte, né lutto né grida né travaglio, / perché le cose di prima se ne sono andate”.

E’ con questo sigillo che la Salmodia della speranza può essere riproposta,  a cinquant’anni dalla liberazione dell’Italia dalla dittatura, come appello a sperare e a lottare contro ogni oppressione della mente e dello spirito che anche ai nostri giorni si ramifica insensibilmente nelle coscienze.
L’antica preghiera dei “ribelli per amore” di quegli anni ormai lontani e spesso volutamente rimossi deve ancora affiorare sulle labbra di coloro che credono, sperano e amano la libertà:
“Dio, che sei verità e libertà
facci liberi e intensi,
vestici della tua armatura!”


 

REGIA

Bruno Montrasio

INTERPRETI
Giovanni Longoni
Elena Redaelli
Elisabetta Montrasio
Rossella De Capitani
Manuela Pasina
Diego Ciracì
Antonio Sala
Tito Olcese
Enzo Pimazzoni
Lorenzo Perego
Donato Anania
Davide Perini
Danza: Sara Minutti

 

VIDEO

Marco Lipira
 

AUDIO E LUCI

Alessandro Furlan, Dario Marini, Stefano Valsecchi
 

PROIEZIONI

Visual Factory – Monza
 

COREOGRAFIE

 H-Demia Danza - Monza

 

 

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